Energie Rinnovabili e Batterie Viventi

di Juanne Pili.

Sono tanti i passi avanti compiuti nello studio di nuove batterie, per supportare le  energie rinnovabili e azzerare l’impatto ambientale. Le branche cooperanti vanno dalla chimica alla  biochimica, passando per la nuova frontiera delle nanotecnologie.

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Un’ultima scoperta riguarda l’uso dei batteri nella produzione di energia. Vere e proprie batterie viventi, i batteri, interagendo con la magnetite e la luce, potrebbero essere utilizzati per bonificare l’ambiente. I risultati di questo studio sono stati pubblicati su Science dai ricercatori dell’Università di Tubinga assieme ai colleghi di Manchester e del Pacific Northwest National Laboratory.

I batteri utilizzati appartengono alla specie Rhodopseudomonas Palustris; simili a bastoncelli che, come suggerisce il nome, vivono nelle zone palustri. Allevati nella magnetite ed esposti alla luce – simulando i cicli diurni e notturni – rimuovono gli elettroni dalla magnetite (giorno) la quale scarica il suo potenziale, per poi essere ricaricata (notte). Si tratta di veri e propri cicli di elettricità alternata. Ideali anche per assistere – come accumulatori – le tecnologie a energia rinnovabile.

Questi batteri ed altri di specie diverse, possono essere programmati agendo sul loro DNA. Questa è solo una delle tante innovazioni nel campo delle batterie.

Nanotecnologie


I suoi componenti sono gli stessi di una normale batteria, ma è microscopica e può essere ricaricata migliaia di volte ed in pochi minuti.

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La batteria più piccola del mondo non è altro che una comune batteria dai componenti ridotti all’inverosimile. Grazie ad una tecnologia basata su nanostrutture denominate – indovinate un po’ – nanopori. ci ricordano molto quelle utilizzate nel campo della ricerca sulle staminali, giusto per darvi un’idea di quanto le ricerche condotte su ambiti diversi possano “contaminarsi” ed arricchirsi tra loro generando sempre nuove soluzioni.

Il funzionamento di questa nanobatteria è stato illustrato su Nature Nanotechnology dal ricercatore dell’ Università del Maryland, Chanyuan Liu. Ogni suo componente è integrato con gli altri all’interno di una struttura porosa. Il suo rendimento e potenza sono eccezionali.; si carica in 12minuti e può essere ricaricata migliaia di volte senza perdere le sue peculiarità. Immaginiamo una serie di queste batterie stese nella superficie di un francobollo. Prima della messa in commercio si sta lavorando già ad un nuovo prototipo, che si auspica dovrebbe essere dieci volte più potente. Si pensa già ad una applicazione in campo medico; questo però potrebbe essere anche un limite, in quanto tra i materiali che costituiscono questa tecnologia c’è anche l’ossido di vanadio, il quale risulterebbe ancora in quantità tossiche. Si tratta di un particolare inemendabile di cui i ricercatori dovranno tener conto.

Il ciclo dell’ATP che tutti quanti abbiamo studiato alle superiori è un efficiente sistema adottato dagli esseri viventi per produrre energia demolendo gli zuccheri.

Credit: Jason Drees, Biodesign Institute, ASU
Credit: Jason Drees, Biodesign Institute, ASU

Fino ad oggi i ricercatori hanno tribolato per riuscire a replicare questo genere di sistema ad alta efficienza, che singole stupide cellule utilizzano ogni giorno, mentre noi non riusciamo ad ottenere una resa minimamente paragonabile con le celle fotovoltaiche. “Fino ad oggi”, appunto. I ricercatori dell’Università dell’Arizona sono riusciti a creare una nanomacchina in grado di imitare il sistema dell’ATP. E’ in grado, insomma, di produrre energia dagli zuccheri. Questa macchina è composta con frammenti di DNA ed il suo funzionamento è stato illustrato su Nature Nanotechnology.

Il progetto è stato realizzato con un modello digitale, un po’ come fanno gli architetti quando pensano i futuri edifici; il funzionamento è stato da prima testato con un modello in scala ed in fine la nano-macchina è stata assemblata, con risultati eccellenti. Il prossimo passo sarà quello di sperimentare il funzionamento di intere catene di nanomacchine biologiche, in grado di svolgere operazioni e ricaricarsi allo stesso tempo.

Tanti potrebbero essere gli orizzonti aperti da queste scoperte che non possiamo nemmeno immaginare, perché non possiamo sapere quali saranno le tendenze e le priorità dei prossimi cinquant’anni, a parte l’imperativo vitale di abbandonare le risorse fossili e ripensare la tecnologia di conseguenza.

Batterie allo Zucchero


Biodegradabili, ricaricabili e ignifughe: Disponibili sul mercato fra tre anni le prime batterie allo zucchero.

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I primi a realizzare delle batterie allo zucchero sono stati i giapponesi due anni fa. La chiave di tutto è il carbonio, elemento onnipresente in tutte le molecole organiche; gli organismi viventi dipendono da esso per realizzare le reazioni chimiche metaboliche e cataboliche necessarie alla produzione di energia. Si tratta appunto del metabolismo. I recenti progressi ci permettono – a piccoli passi – di imitare la natura, che evidentemente di fonti rinnovabili se ne intende.

Le batterie giapponesi (realizzate dai ricercatori del Komaba Group dell’Università di Tokyo nell’ottobre 2012) applicarono le proprietà del carbonio presente nello zucchero a delle batterie agli ioni di sodio; ottenendo risultati eccellenti, paragonando le prestazioni con le comuni batterie agli ioni di litio. Analogamente a come avviene nei cristalli di litio, quelli di zucchero ad alte temperature diventano dei conduttori elettrici. Inoltre rispetto gli altri cristalli lo zucchero è presente in natura in grandi quantità ed è una fonte rinnovabile. Queste batterie possono essere impiegate per alimentare vari dispositivi elettronici portatili, dai tablet ai telefonini.

Oggi il testimone passa ai ricercatori del Virginia Tech. La batteria da loro realizzata oltre ad avere costi ridotti è anche biodegradabile. Caratteristica di non poco conto. Il team di ricercatori spiega i miglioramenti applicati a questa tecnologia:

«Come tutte le celle a combustibile, la batteria a zucchero combina il carburante – in questo caso la maltodestrina, un polisaccaride ottenuto dall’idrolisi parziale dell’amido – con l’aria per produrre elettricità e acqua come principale sottoprodotto. Rilasciano tutte le cariche degli elettroni stoccate nella soluzione di zucchero lentamente, passo-passo mediante una cascata di enzimi».

Rispetto alle comuni batterie, queste non sono affatto infiammabili, hanno una maggiore densità di stoccaggio dell’energia, e sono ricaricabili, forse non sarà come aggiungere delle zollette nel caffè, ma ci piace pensarlo.

Batterie ad Acqua


Si attivano con l’acqua ed hanno un basso impatto ambientale. Utilizzate già nella tecnologia delle radiosonde, sostituiranno in futuro le pile tradizionali.

acquacellE’ ben noto che possono essere utilizzate batterie facenti uso di soluzioni acquose. Questi prototipi sono stati pensati per avere un basso impatto ambientale mediante anche la riduzione dell’uso di metalli pesanti. Vengono usate comunemente nelle radiosonde, che non possono contenere metalli pesanti, infatti il loro destino è quello di precipitare sul suolo o nell’oceano, dove rimangono per un tempo indeterminato. Meglio evitare che qualche frammento di una certa massa ci piombi sulla zucca, insomma.

Già nel 2007 in Giappone è stata costruita una batteria di carbonio e magnesio, chiamata “NoPoPo”. I suoi elettroliti vengono imbevuti d’acqua con una siringa. Queste batterie non producono grandi quantità di energia ed il costo è piuttosto alto rispetto alle pile tradizionali. Inoltre, a causa della reazione chimica del magnesio tendono a deformarsi e causare danni ai prodotti utilizzati.

Esiste anche un modello della “Aquacell” contenente zinco e carbonio, priva della maggior parte dei metalli pesanti. Pesa 12 grammi e fornisce 1000mAh, la si può usare per alimentare una torcia, magari. L’impatto ambientale è ovviamente basso. La durata del suo ciclo di vita, assicurano i produttori, può essere dalle 4 alle 5 volte superiore rispetto ad una pila tradizionale.

Sono attualmente in studio Kit che utilizzando celle di rame e magnesio attivate dall’acqua. Un’altra batteria inventata da Susume Suzuki della “Total System” usa Anodi di alluminio. La HydroPak utilizza cartucce monouso aventi un combustibile attivato dall’acqua, ed è stata pensata come alternativa alle batterie al piombo; utilizza acqua aggiunta al “boro-idruro di sodio”, che rilascia idrogeno che a sua volta alimenta una cella a combustibile. La batteria ricarica sostituendo la cartuccia di combustibile; peccato che costano 20 euro. (Sic!)

Una cosa è certa: Non stiamo parlando di batterie inesauribili, né di prodotti “a buon prezzo”. Non esistono le “macchine perpetue”. Inoltre la ricerca è solo agli inizi, presentare questi prodotti come una “soluzione” definitiva sarebbe ancora immaturo.

Batterie al Rabarbaro


Continuano le scoperte attorno a nuovi tipi di accumulatori da applicare alle rinnovabili. Presto la loro intermittenza non sarà più un limite.

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Una molecola quasi identica a quella di rabarbaro potrebbe essere la chiave per il futuro delle energie rinnovabili. I ricercatori hanno utilizzato il composto per creare una batteria ad alte prestazioni di “flusso”, ottimo per realizzare accumulatori di energie rinnovabili da rilasciare nella rete elettrica.

Ancora un passo avanti della ricerca quindi, verso un maggiore impiego delle fonti rinnovabili, che tra non molti decenni rappresenteranno l’unica alternativa a quelle fossili, ormai prossime all’esaurimento. Potrebbero anche risparmiarci qualche minaccia bellica; non a caso il sottoscritto si era già occupato nel suo blog della caccia alle ultime risorse petrolifere nell’Artico, che potrebbero essere agevolate addirittura dallo scioglimento dei ghiacci. Già entro il 2030 dovrebbero scomparire i ghiacciai estivi nel Polo Nord. Ecco perché questo genere di scoperte sono vitali per tutta l’umanità.

Michael Aziz, fisico dell’Università di Harvard, che sperimenta sui chinoni collabora col team di chimici teorici guidati da Alan Aspuru. Loro compito, quello di calcolare le proprietà di più di 10.000 molecole di chinone. Ecco quindi che si è arrivati ad una molecola simile a quella del Rabarbaro. Aziz e la sua squadra li hanno incorporati nella loro batteria. Sussistono passi avanti anche dal punto di vista dei costi, rispetto al prototipo di cui parlavamo nel precedente articolo. Continuano a sussistere problemi legati all’utilizzo del “bromo” e del “acido bromidico”, sostanze tossiche di cui si stanno cercando dei sostituti; un altro tipo chi chinoni, per esempio, rendendo questa nuova tecnologia totalmente organica.

Il set di sostanze da sperimentare, del resto, è molto ampio. Ovviamente vi aggiorneremo riguardo a sviluppi futuri, che confidiamo non tarderanno ad esserci.

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